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Utopìa y Praxis Latinoamericana

versión impresa ISSN 1315-5216

Utopìa y Praxis Latinoamericana v.14 n.46 Maracaibo sep. 2009

 

Emancipazione e diritti umani nel pensiero di Boaventura de Sousa Santos

Emancipation and Human Rights in the Thought of Boaventura de Sousa Santos

Carmela Guarino

Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli, Italia.

RESUMEN 

Boaventura de Sousa Santos hace un análisis minucioso de la sociedad actual en la que valores como la igualdad y la fraternidad, se eclipsan ante la lógica del capitalismo neoliberal. La Ley y la ciencia moderna han contribuido a este fenómeno mediante la determinación de sociedades cada vez más injustas y excluyentes. El remedio a una derrota inminente, considera De Sousa Santos, es la emancipación social, o sea, un encuentro entre diferentes civilizaciones, un proceso que permita la comprensión mutua entre los ciudadanos del mundo, por lo que el concepto de diferencia no puede ser considerado como un factor de separación y aislamiento, sino más bien como un factor de intercambio y solidaridad.

Palabras clave: Globalización, emancipacion, cosmopolitismo, hermenéutica diatópica.

ABSCTRACT 

Boaventura de Sousa Santos makes a minute analysis of current society in which values such as equality and fraternity are eclipsed by the logic of neoliberal capitalism. Law and modern science have contributed to this phenomenon through the determination of societies ever more unjust and excluding. The remedy for an imminent defeat, considers De Sousa Santos, is social emancipation, that is, an encounter between different civilizations, a process that permits mutual understanding among world citizens; therefore the concept of difference cannot be considered as a factor of separation and isolation, but rather as a factor of interchange and solidarity.

Key words: Globalization, emancipation, cosmopolitism, diatopic hermeneutics.

Recibido: 11-10-2008  Aceptado: 24-05-2009

Boaventura de Sousa Santos1, sociologo portoghese, è uno dei principali intellettuali e filosofi di riferimento per le dottrine antiglobalistiche. La sua attenzione verso i temi dell’emancipazione sociale2 e dei diritti umani, non si esplica solo a livello teorico, bensì, attraverso un’attenta analisi critica sul riscontro che questi temi possano avere nella società attuale, tenendo in considerazione il fenomeno incessante del neoliberalismo economico3

Egli definisce transizione paradigmatica il periodo in cui viviamo, scandita dal passaggio dalla modernità alla postmodernità. La sua opera appare particolarmente interessante in quanto l’autore si preoccupa di spiegare la complessità dei fenomeni attuali partendo da un’acuta critica rivolta alle insufficienze e deficienze della modernità. I valori su cui essa era imperniata, precisamente, lo stato di benessere, i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, sono crollati anche in seguito al tracollo del contratto sociale che, secondo quanto teorizzato dallo stesso Rousseau, era un patto dei cittadini con loro stessi, al fine di edificare una società di liberi ed uguali in cui il principio di uguaglianza sia sancito non solo da un punto di vista formale, bensì, sostanziale.

Questa enorme disfatta, ha determinato l’insorgere di società sempre più ingiuste ed escludenti4, in cui una gran parte della popolazione mondiale non può partecipare attivamente alla vita politica in quanto, purtroppo, costretta a combattere quotidianamente con problemi che non interessano le civiltà occidentali, quali potrebbero essere la fame ed il tasso di mortalità infantile. 

Queste forme di esclusione sociale sono dovute, in particolare, all’incalzare di due fenomeni, di cui si è servita la modernità per definire la crisi tra regolazione ed emancipazione sociale: il Diritto e la Scienza Moderna. Partendo dall’analisi di quest’ultima, Sousa sostiene che essa, essendo stata strumentalizzata dal potere e da esso deviata, ha annientato tutte le conoscenze alternative e pertanto considerate come rivali, imponendosi come unico e solo pensiero scientifico egemonico. 

L’autore portoghese denuncia, in particolare, l’asservimento di questa alla macchina da guerra, la cui relazione agli inizi del secolo XX andava sempre più intensificandosi attraverso la preparazione di strumenti bellici, per la soddisfazione della sete di potere di cui erano bramosi i popoli del vecchio e nuovo continente. I successi della scienza moderna, infatti, sono dovuti alla sua capacità di sottomettere popolazioni del sud del mondo alla logica capitalista e pertanto predominante. Santos crede, appunto, che la scienza dalla quale proveniamo è una conoscenza arrogante, in quanto riconosce le culture alternative solo e nella misura in cui è in grado di cannibalizzarle, ossia, di inglobarle. Definisce, pertanto, “glocalismo localizzato”5, l’impatto che le pratiche e gli imperativi della modernità hanno sulle conoscenze locali, che vengono destrutturate, private della loro identità per essere ristrutturate secondo i modelli imposti dalle civiltà egemoniche. Per rendere maggiormente esplicito questo concetto, basti pensare ai ricercatori e scienziati che operano nelle periferie del mondo che, spesso in solitudine, si sono interrogati sulla possibile inutilità del loro lavoro, essendo pervasi dall’angoscia di dover asservire, prima o poi, il loro sapere agli interessi egemonici. Si pensi, ad esempio, alla medicina alternativa che sfrutta la capacità terapeutica delle piante, di cui fanno frequentemente uso i popoli indigeni. Essa non è riconosciuta come ufficiale dai paesi occidentali poichè non è prodotta in accordo con le norme ed i criteri stabiliti dalle moderne aziende farmaceutiche e biotecnologiche, le quali ne rivendicano il diritto di proprietà intellettuale6.

Santos, precisamente, prendendo spunto dal trattato di Klug7 dimostra che, così agendo, la scienza moderna limiti la stessa ricerca per la cura di malattie diffusissime, nei paesi del sud del mondo, soprattutto nel momento in cui non garantisce la facile accessibilità ai farmaci essenziali protetti dal brevetto8

La soluzione del problema, quindi, consiste nel ridimensionare a livello internazionale il ruolo di questi poderosi attori come potrebbero essere, ad esempio, le case farmaceutiche, in modo da riunire un numero significativo di ricercatori provenienti anche in maggioranza dai paesi semiperiferici che, insieme ed in assenza o compartecipando con la scienza centrale, siano capaci di rivendicare un sapere multiculturale, che tenga conto anche e soprattutto di un vissuto concernente esperienze estreme delle popolazioni al margine, unicamente in funzione dell’emancipazione sociale, in lotta all’oppressione e alla discriminazione. Come accennato precedentemente, per il filosofo portoghese, altro elemento destabilizzante nella modernità, oltre alla scienza moderna, è il diritto. Santos denuncia come esso per tutto il XX secolo sia stato sottomesso, asservito, ad una serie di valori e convinzioni divenendo strumento di oppressione nelle mani di forze politiche emergenti9

Questa posizione del diritto, per Santos, è sicuramente aleatoria in quanto, nel momento in cui l’ordinamento giuridico statale monopolizza la produzione giuridica esistente, esclude il rapporto essenziale che intercorre tra il diritto e la società. Il diritto, infatti, deve essere rappresentazione, lo specchio della società attuale. Esistono, un’infinità di tipologie societarie, di conseguenza, altrettanto vasta deve essere la produzione giuridica esistente, includendo non solo il diritto positivo, ma anche quello consuetudinario. La relazione intercorrente tra diritto e società è paragonabile a quello tra le mappe e lo spazio10. Le mappe, in realtà, non sono altro che una riproduzione deformata degli spazi per rendere quanto meno agevole la loro consultazione. Ebbene, questa distorsione o occultamento della realtà sono anche i presupposti dell’esercizio del potere. Ciò dimostra, chiaramente, come nella modernità diritto e scienza sono stati monopolizzati dallo Stato, ma soprattutto, dal capitalismo e da quella che il sociologo portoghese definisce come “globalizzazione neoliberale”. Volendo dare una definizione al fenomeno della globalizzazione, diremo che essa è un processo attraverso il quale una determinata condizione o entità amplia il suo ambito a tutto il globo e facendolo acquisisce la capacità di designare come locali le condizioni o entità rivali11.

La globalizzazione neoliberale, con gli stessi effetti, nasce dalle dinamiche del capitalismo occidentale. Essa è promossa da poderosi attori internazionali che si adoperano al fine di diffondere le loro concezioni e le loro politiche in tutto il pianeta. Questo modello, ovviamente, che pian piano va diffondendosi a macchia d’olio, trattiene in sé non poche contraddizioni poiché la politica economica neoliberale, lontana dal promuovere situazioni di sviluppo, ha generato una possente esclusione sociale, in quanto ha fatto in modo che i rapporti commerciali internazionali si stabilissero solo tra multinazionali di grande potenza economica e disponibilità di capitali, escludendo così da questo imponente circuito quei paesi che non hanno una forza economica tale da poter con loro competere. 

Ormai siamo entrati nella morsa di quello che l’autore portoghese definisce “Fascismo societario”12, in cui la logica del profitto e dell’economia si espande in tutti i campi della vita sociale e diventa l’unico criterio possibile per stabilire relazioni tra paesi e popoli differenti. 

L’esclusione sociale, tuttavia, sebbene sia un fenomeno molto diffuso grazie alla logica capitalista, non è l’unico pericolo incombente che preoccupa Santos. Egli teme che i diritti umani si convertano in una forma di glocalismo, cioè che divengano un fenomeno locale adeguatamente globalizzato. 

I diritti umani, infatti, rischiano di essere inglobati anch’essi nella logica del capitalismo neoliberale, ossia fenomeno connesso alla globalizzazione neoliberale. 

Basti pensare infatti alla pretesa dell’occidente di voler concepire ed esportare la democrazia come unico modello politicamente legittimo, servendosi dei diritti umani come mezzo per giustificare un intervento coercitivo come l’invasione armata13. L’occidente, infatti, si è sempre crogiolato nella falsa illusione di poter salvare l’umanità distruggendone una buona parte. Un fenomeno che rientra sicuramente tra i tanti corsi e ricorsi storici e che nei secoli ha assunto connotazioni diverse: colonialismo, genocidio degli indiani d’America o dei popoli africani. Ciò è a dimostrazione di come molte guerre sono animate soprattutto da interessi di tipo economico, a nulla contando il fatto che esse minino la pace e la sicurezza di intere popolazioni14. La povertà e la miseria delle popolazioni del sud del mondo, purtroppo, non sono casuali e nemmeno dovute e incapacità o carenza di volontà di lavorare e emergere dal contesto pessimo in cui sopravvivono. Sono le attuali regole del commercio mondiale che aggravano gli squilibri esistenti, anziché favorire un’equa distribuzione delle risorse. 

LA GLOBALIZZAZIONE ANTIEGEMONICA 

La globalizzazione neoliberale è, ai giorni nostri, un importante fattore esplicativo dei processi economici, sociali, politici e culturali delle società nazionali. Tuttavia, nonostante la sua maggiore importanza e il suo carattere egemonico, questa non è l’unica globalizzazione. Di pari passo con essa, e in buona misura come reazione ad essa, sta emergendo un’altra globalizzazione, costituita dalle reti e dalle alleanze transfrontaliere tra movimenti, lotte ed organizzazioni locali e nazionali che nei diversi angoli del mondo si mobilitano per opporsi all’esclusione sociale, alla precarietà del lavoro, al declino delle politiche pubbliche, alla distruzione dell’ambiente e della biodiversità, alla disoccupazione, alla violazione dei diritti umani, alle pandemie, agli odi interetnici provocati direttamente o indirettamente dalla globalizzazione neoliberale. 

Il processo di globalizzazione è un fenomeno che tende ad avere un carattere non egualitario, in quanto la produzione ha un carattere transnazionale e privilegia tre aree del mondo: il nord dell’America, l’Europa occidentale e l’Asia orientale. E’ proprio in queste aree che si svolgono i centri di progettazione e i principali mercati. È qui che vive la popolazione più ricca che può fornire tecnici più preparati e acquirenti di merci più costose. Il resto del mondo, a sua volta, è diviso in due: gli Stati tecnologicamente sviluppati capaci di garantire alle aziende transnazionali di istallarvi fabbriche dove portare la produzione, e quelli definiti arretrati, tecnologicamente ed economicamente, che restano secondari rispetto ai processi economici mondiali. L’Africa è l’esempio di paese tecnologicamente ed economicamente arretrato che ha il ruolo di esportare materie prime e prodotti agricoli. Negli ultimi anni vi è stato un aumento della disoccupazione dovuto a questi mutamenti tecnologici, ma soprattutto dovuto ai processi di trasferimento della produzione in aree periferiche. Questo fenomeno, apparentemente inarrestabile almeno da un punto di vista commerciale, ha incontrato differenti forme di resistenza, che consistono in iniziative di base, organizzazioni, movimenti popolari, reti trasnazionali di solidarietà, nuove forme di internazionalismo operaio, che intendono contrastare l’esclusione sociale, aprendo nuovi varchi per la partecipazione democratica e la costruzione di un nuovo senso comune. Esse,in particolare, offrono alternative rispetto alle nuove forme di sviluppo e conoscenza a favore dell’inclusione sociale. 

Queste nuove reti di solidarietà trattano e mettono a fuoco un’ ampia varietà di temi, quali i diritti umani, la discriminazione etnica e sociale e la biodiversità. Questo attivismo costituisce una politica emancipatoria che, a differenza dei modelli occidentali della modernità (la rivoluzione sociale e il socialismo), è strettamente connessa alla politica redistributiva e al riconoscimento delle diversità.

Tutti i micromovimenti che si mobilitano nelle diverse parti del mondo, infatti, si prefiggono ciascuno un obiettivo, che potrebbe essere la salvaguardia della diversità ed il rispetto per l’altro, come le campagne contro il razzismo o la xenofobia. Il concetto di emancipazione sociale, strettamente connesso a quello della globalizzazione antiegemonica, è strettamente utopico ed il suo pieno significato può essere compreso in pieno solo se si tengono in considerazione tre procedimenti connessi. 

Il primo procedimento, a cui Santos si riferisce, è la Sociologia delle assenze, ossia il procedimento mediante il quale le organizzazioni che combattono la globalizzazione egemonica, riconoscendo i propri limiti, si confrontano e completano le proprie deficienze attraverso la connessione con altra organizzazione facente parte di altra parte del globo. 

La sociologia delle assenze conferirebbe, dunque, alle suddette organizzazioni una certa compiutezza, in quanto queste sarebbero complementari e risulterebbero maggiormente fortificate. 

Per creare tale apertura è necessario ricorrere ad un secondo procedimento che Santos definisce La teoria della traduzione. 

Un gruppo antiegemonico, in questo consiste la teoria della traduzione, riesce a riconoscerne un altro nella misura in cui entrambe rinuncino al proprio particolarismo. La teoria della traduzione non intende, dunque, cancellare i caratteri di base di un organizzazione, piuttosto mantiene intatta l’autonomia delle lotte, permettendo di identificare i caratteri comuni e di tenere in considerazione anche le diversità. Una volta che sono stati presi in considerazione i parametri comuni e quelli differenti, possono essere posti in essere piani d’azione dettagliati, al fine di costituire delle alleanze, possibili solo se si basano su denominatori comuni. La traduzione è un processo fondamentale che consente la comprensione reciproca tra i cittadini del mondo, affinché il concetto di differenza, possa essere celebrato non come fattore di frazionamento e isolamento, ma piuttosto come fattore di condivisione e solidarietà. 

Il terzo procedimento a cui si riferisce Santos consiste nella creazione di Nuovi Manifesti. Per esplicare questa fase egli prende come punto di riferimento il Manifesto di Marx ed Engels. In questo trattato si profetizza una fede infrangibile nel progresso e gli ideali tipici del liberismo economico vengono considerati come fattori emancipatori della società, resi possibili grazie ad una nuova classe emergente: la borghesia. 

Santos, sottolinea come in realtà gli ideali enunciati ne “Il Manifesto”, siano dei veri e propri mali sociali. Infatti, come abbiamo accennato in precedenza trattando l’interdipendenza tra la scienza e la macchina da guerra, la tecnologia è stata, per l’autore, la fonte di tanti genocidi che si sono perpetrati e continuano a compiersi nel mondo, a svantaggio di vittime innocenti di guerre innestate per la corsa al potere. 

Analizzando la situazione attuale, per niente analoga a quella descritta nel trattato marxista, Santos auspica la creazione di Nuovi Manifesti, potenziali a tal punto da riuscire a mobilitare tutte le forze progressiste del mondo, al fine di creare società alternative, che possano fronteggiare il fascismo societario.

Il progetto che intende realizzare l’autore attraverso l’emancipazione sociale è una società multiculturale, una Nueva América, ossia una nuova era in cui non esistano le diversità ed il razzismo possa essere abolito unitamente al concetto di razza. “Nuestra América bien puede ser el siglo que comienza”15

Cinque sono i Nuovi Manifesti, ossia le proposte per la realizzazione della società utopica, il primo dei quali consiste nella realizzazione di una Democrazia partecipativa. 

A tal proposito, la principale novità risiede nelle proposte di riforma democratica avanzate da micro movimenti diretti da attivisti sociali, che si sono dedicati a questioni disparate, legate alle lotte delle popolazioni povere, economicamente emarginate e socialmente escluse. Questi movimenti hanno formato vaste alleanze per protestare contro la globalizzazione, entrando in conflitto con organizzazioni ed istituzioni che rappresentano il potere politico ed economico globale. In questa fase, essi hanno intrapreso un enorme discorso sulla democrazia, al fine di ripristinare una democrazia partecipativa, per conferire alla sovranità popolare un senso reale ed effettivo. 

Santos sostiene che il modello egemonico di democrazia liberale, diffuso in molti stati europei, garantisce una minima partecipazione al governo della popolazione, trattandosi, pertanto, di una democrazia di bassa intensità 16, basata sulla privatizzazione del bene pubblico da parte di un’ élite minoritaria di cui fanno parte solo alcuni protagonisti internazionali. La proposta di Santos consiste, allora, nel realizzare una “Democrazia di alta intensità” 17

Nel trattare di democrazia, l’autore sottolinea come questo importante fenomeno non sia univoco, infatti, opera una distinzione tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Egli sostiene che la democrazia rappresentativa è un modello fittizio e di bassa intensità, limitata dalla detenzione del potere da parte dei politici. 

Attualmente, nel nostro ordinamento, impera il principio della sovranità popolare, sancito dall’art.1 della Costituzione. Tale articolo pone il volere popolare alla base del circuito democratico in quanto elegge a suffragio universale il Parlamento, a cui è attribuito il potere di legiferare, il quale, in qualità di rappresentante del popolo, deve rispondere innanzi ad esso del proprio operato. 

Questa forma di democrazia rappresentativa, per Santos, sarebbe apparentemente partecipativa, in quanto, essendo le decisioni assunte a maggioranza dei voti, il sistema rappresentativo non offre alle identità minoritarie garanzie di adeguata espressione in Parlamento. Infatti, i gruppi più vulnerabili socialmente, i settori meno favoriti e le etnie minoritarie, non riescono a fare in modo che i loro interessi siano rappresentati nel sistema politico con la stessa facilità dei settori maggioritari o economicamente più prosperi.

In tale contesto, sottolinea D.L. Sheth, si è impedito alle nuove democrazie di creare alternative istituzionali per adattare i contesti locali a nuove forme di governo. “…Assumendo la democrazia rappresentativa occidentale come la forma definitiva della democrazia ha incoraggiato l’idea che l’umanità abbia raggiunto in essa il più elevato stadio di sviluppo politico”18

Santos evidenzia come, in tale contesto, sia fondamentale rivedere il sistema attraverso la realizzazione di un’emancipazione sociale, che consenta ad ogni uomo di partecipare attivamente alla vita politica del suo paese, includendo anche coloro che sono esclusi per questioni che attualmente non sono considerate importanti, perché di minore rilevanza economica. 

Nel contesto di molti paesi in via di sviluppo l’emancipazione sociale dovrebbe essere riferita alla realtà che le classi subordinate devono affrontare, ossia la miseria, la fame, la criminalità, il razzismo e l’assente partecipazione politica. Questo fenomeno si connette con il secondo obiettivo a cui l’autore si riferisce ne i Nuovi Manifesti, ossia la creazione di sistemi alternativi di produzione. A tal proposito, egli contesta una società che si basa solo sulle leggi di mercato, imposte da imprese multinazionali, in quanto una suddetta società è non solo ripugnante, ma anche ingovernabile. 

Ritornando alle origini è bene notare che se il commercio ha un carattere fondamentalmente positivo, il suo impiego nel corso della storia, ha conosciuto pagine oscure, specie se consideriamo quanto è avvenuto negli oltre quattro secoli che hanno segnato il periodo coloniale. In quel caso non si trattava di commercio, di incontro, ma di una pratica economica a danno di popoli le cui aspirazioni di sviluppo sono state profondamente minate. Le conseguenze del periodo coloniale si fanno sentire ancora oggi, in un mondo organizzato in funzione delle ex potenze coloniali. 

La povertà e la miseria delle popolazioni del Sud del Mondo non sono casuali, e nemmeno dovute ad incapacità o alla carenza di senso del lavoro. Sono le attuali regole del commercio mondiale che aggravano gli squilibri esistenti tra Nord e Sud, anziché favorire un’equa distribuzione delle risorse. I paesi del Sud del mondo continuano ad essere considerati, principalmente, fornitori di materie prime per il Nord. Instabilità dei prezzi delle materie prime, barriere commerciali e debito estero contribuiscono a bloccare le possibilità di miglioramento di quei popoli, ed in particolare di milioni e milioni di produttori e lavoratori, che le condizioni economiche relegano nello sfruttamento e nell’emarginazione. 

Questa sfiducia nei confronti di tale esperienza economica ha determinato il nascere di iniziative, sia in campo rurale che in campo urbano, alternative alla produzione di tipo globale. Ovviamente si tratta di iniziative il cui progetto di realizzazione è molto lontano, confrontandosi, non solo per quel che concerne la produzione, ma soprattutto per quel che concerne la distribuzione, con la logica del capitalismo che sta alla base della globalizzazione egemonica. Ciò che intende sottolineare Santos, è la peculiarità di queste nuove forme di produzione, le quali usufruiscono non solo di sistemi economici, ma mobilitano risorse culturali e sociali al fine di impedire la riduzione dei valori sociali al solo prezzo di mercato. “As alternativas de produção não são apenas económicas: o seu potencial emancipatório e as suas perspectivas de êxito dependem en boa medida, da integraçao que consigam entre processos de trasformaçao económica e processos culturais, sociais e políticos”19. Si pensi, ad esempio, al Mercato equo e solidale.

In Africa, Asia ed America Latina, i produttori si stanno organizzando, già da tempo, per cercare di sfuggire alle regole inique del sistema economico, che ne causano la miseria e lo sfruttamento. 

Allo stesso modo, nel Nord del Mondo, si è da tempo strutturata una rete di distribuzione e vendita di prodotti provenienti direttamente da organizzazioni di produttori del Sud, una rete di organismi, di associazioni, di cooperative e di soggetti di vario genere che ha deciso di dare un nuovo senso al commercio. 

Si tratta di un mercato equo e solidale, che tratta i produttori del Sud in modo paritario, riconoscendoli come soggetti di una relazione commerciale e, soprattutto, restituendo loro il valore di esseri umani. È un commercio umano, sostenitore dell’emancipazione sociale, perché antepone la giustizia alla redditività, i diritti agli indici di crescita, la relazione alla produttività. Il commercio equo è nato per battersi contro le ingiustizie e le iniquità del sistema economico mondiale, e vuole costituire un’alternativa concreta per tanti piccoli produttori del Sud del Mondo e per altrettanti consumatori del Nord. 

La filosofia che sta alla base di questo movimento consiste nell’intrecciare relazioni commerciali con produttori e fornitori dei paesi in via di sviluppo fondate sui principi del commercio equo e solidale. L’organizzazione importatrice reperisce i prodotti alla fonte, li importa e li commercializza secondo vari metodi, tra cui la vendita diretta nelle cosiddette «Botteghe del mondo» o tramite altre ONG o associazioni confessionali, la vendita per corrispondenza, ecc. 

Il FORUM SOCIALE MONDIALE: UN ALTRO MONDO È POSSIBILE 

Il Forum Sociale Mondiale rappresenta uno spazio aperto di incontro per la riflessione, la formulazione di proposte e il coordinamento per l’azione di movimenti sociali, organizzazioni non governative ed altre organizzazioni 20 che si oppongono alla logica del neoliberalismo economico ed a qualsiasi forma di imperialismo. 

Il Social Forum si imposta su differenti Spazi Tematici, quali la riappropriazione del sapere, le diversità culturali, il rapporto intercorrente tra l’organizzazione e i mass media, la difesa dei beni comuni, la lotta contro la dominazione neoliberale, la pace e la liberazione dei paesi coinvolti in conflitti bellici, la costruzione di un ordine internazionale che sia energicamente rivolto alla tutela dei diritti umani, per l’affermazione del principio di uguaglianza in connessione a quello che prevede il riconoscimento delle diversità.

Boaventura De Sousa Santos esclude il suo carattere di organizzazione o associazione, e definisce il forum come un mezzo attraverso il quale si facilita l’articolazione di movimenti che sono impegnati a costruire un “altro mondo possibile” 21

Il punto di partenza degli incontri del forum è dato dalla volontà di dimostrare che liberismo economico non significa libertà. La libertà economica non esaurisce tutte le dimensioni dell’agire umano, il quale anzi, proprio perché “libero”, può decidere di comportarsi anche in maniera che nulla ha a che fare con le compatibilità economiche, ma guarda, invece, ai diritti delle persone, alla giustizia, alla solidarietà fra i popoli. Ecco perché il movimento internazionale non può definirsi semplicemente “anti-globalizzazione” ma ricerca e persegue una diversa globalizzazione non esclusivamente in preda alla legge del profitto delle grandi imprese multinazionali: una nuova globalizzazione non può che partire dal rispetto dei diritti di tutte le persone e dalla giustizia economica e sociale; è necessario che l’attività economica sia posta a servizio dell’uomo. 

Attualmente avviene il contrario: le macchine, infatti,che dovrebbero risparmiare all’uomo i lavori più sgradevoli, sono causa, nelle nazioni più ricche, di ineguaglianza, miseria e esclusione sociale, persino nei periodi di ripresa economica. 

In tutti i settori, i prezzi di costo dei prodotti provenienti da sistemi a forte intensità di capitale sono fuori portata per i sistemi produttivi che si basano essenzialmente sulla manodopera. Il criterio della competitività basata sul prezzo condanna, quindi, all’estinzione intere popolazioni. 

La funzione economica, dunque, si pone semplicemente a livello dei mezzi necessari a realizzare il progetto collettivo. Il fatto che i valori si situino al di fuori del campo del dimostrabile comporta il rispetto della loro pluralità, fondamento stesso della democrazia. 

Santos sostiene che è necessario promuovere la solidarietà tra i popoli del mondo per l’annullamento del debito pubblico dei paesi poveri, per il rafforzamento dell’aiuto internazionale in loro favore e per la rifondazione delle istituzioni internazionali attorno a un’ Organizzazione mondiale dello sviluppo sociale (Omss). 

Questa organizzazione, democraticamente costituita, dovrebbe essere autorizzata a negoziare, in nome delle popolazioni e insieme ad esse, dei «contratti» che assicurino lo sviluppo di tutti, nel rispetto dei diritti fondamentali degli esseri umani e della protezione della natura. Anche Stiglitz, premio nobel di economia, come Santos, ritiene che di per sé, la globalizzazione non si presenta come un fenomeno negativo. Il problema è ascrivibile principalmente alle istituzioni economiche internazionali che hanno abbandonato i loro principi di base, quali l’eliminazione della povertà e il mantenimento di una stabilità economica a livello globale, servendo gli interessi dei paesi industrializzati22 anziché quelli dei paesi in via di sviluppo. 

Santos, in relazione al problema della partecipazione dei paesi del Terzo mondo al FSM, osserva, che i movimenti e le organizzazioni provenienti dall’America Latina hanno partecipato in misura superiore a quelli di altri continenti, in particolare Africa ed Asia. Questa assenza può sicuramente essere giustificata dal fatto che tali continenti non partecipano al forum in quanto i problemi che li affliggono non sono trattati. Questo può essere sicuramente un’arma a doppio taglio in quanto, non essendovi partecipazione, è improbabile che i problemi concernenti i paesi assenti non vengano trattati o siano addirittura baipassati23. Per tale motivo che l’autore parla di “dimensione utopica” del fenomeno. 

LA DIMENSIONE UTOPICA DEL FORUM SOCIALE MONDIALE CONSISTE NELLA ATTIVA E FATTIVA CHE UNA GLOBALIZZAZIONE DIVERSA DA QUELLA IMPOSTA DAL PENSIERO UNICO É POSSIBILE 

A partire dalla prima edizione svoltasi in Porto Alegre, la trasformazione è stata continua e la critica al modello neo-liberista si è evoluta parallelamente al tentativo di restituire alla politica, attraverso il protagonismo dei movimenti sociali e delle altre forme di organizzazione della società, un ruolo centrale in contrapposizione al totale dominio dell’economia e della finanza internazionali. 

La città brasiliana, è così diventata il simbolo di una democrazia, dove popoli, organizzazioni di lavoratori, di contadini, di ambientalisti, di esperti hanno avuto modo di dibattere i mille problemi del mondo, nella più completa autogestione, senza l’aiuto di governi o multinazionali e con l’ostilità o l’indifferenza della maggior parte della stampa e dei media mondiali. 

Santos asserisce che si tratta, di Utopia critica24, che assume due dimensioni, una dimensione positiva, dal momento che aspira ad una società in cui non siano presenti forme di inclusione o di esclusione, ponendo costruttivamente delle alternative, delineando un chiaro disegno definito nella carta dei principi, e in termini negativi, in quanto si avanza una radicale critica alla società e alla conoscenza moderna, dominata dalla logica capitalismo neoliberale.

L’alternativa proposta dal FSM si fonda su due idee di fondo. In primo luogo, la scienza e la tecnologia possono essere poste al servizio delle attività anti-egemoniche. La misura in cui la scienza viene utilizzata può essere, in generale, discussa all’interno dei movimenti, e variare secondo le circostanze e le specifiche attività. In secondo luogo, in qualsiasi misura si ricorra alla scienza, le attività anti-egemoniche impiegano principalmente conoscenze non scientifiche, pratiche, spesso tacite, che devono essere rese credibili affinché le situazioni in cui vengono applicate acquistino a loro volta credibilità. Alla base del movimento, vi è la convinzione che tutte le culture e le conoscenze sono incomplete - essendo in ciò l’inesauribile diversità del mondo - nessuna singola cultura o conoscenza può rivendicare il monopolio di concetti assoluti. 

L’impegno del FSM è dimostrare che i concetti di razionalità ed efficienza che presiedono alla conoscenza egemonica tecnico-scientifica sono troppo restrittivi per comprendere tutta la ricchezza e la diversità dell’esperienza sociale del mondo, e in particolare discriminano le pratiche di resistenza e la creazione di alternative anti-egemoniche.

Il FORUM SOCIALE MONDIALE: PRINCIPI E PROPOSTE 

Oggetto di riflessione degli incontri tra le associazioni non governative e movimenti sociali che partecipano al FSM, sono i principi contenuti nella Carta dei principi di Porto Alegre, approvata ed adottata a San Paolo il 9 Aprile 2001, dalle organizzazioni che componevano il Comitato Organizzatore. 

Essa fu stilata da un gruppo di diciannove intellettuali di tutto il mondo25, i quali hanno redatto un manifesto con le dodici proposte essenziali del forum. 

Il loro programma include tre gruppi di proposte.

Le prime sette riguardano “il diritto alla vita di tutti gli esseri umani sulla base di nuove regole per l’economia”: l’annullamento del debito dei Paesi del Sud; l’applicazione della Tobin Tax sulle transazioni finanziarie; lo smantellamento dei paradisi fiscali; il riconoscimento del diritto di ciascuno al lavoro, alla protezione sociale e alla pensione; il rifiuto delle regole stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio; l’affermazione del diritto di ogni Paese alla sovranità e alla sicurezza alimentare mediante la promozione dell’agricoltura contadina; la lotta contro i brevetti su esseri viventi e contro la privatizzazione dei beni comuni dell’umanità, a cominciare dall’acqua, risorsa strategica per la maggioranza delle nazioni del “Terzo Mondo”. Le donne sono quelle che pagano un più alto prezzo nella raccolta dell’acqua, che viene via sempre più soggetta a privatizzazioni selvagge. Nel Forum è nata la proposta di ottenere che le Nazioni Unite riconoscano nella propria Carta, il diritto all’acqua da parte di ogni abitante della terra. 

Il secondo gruppo contiene tre proposte per “promuovere la ‘vita in comune’ nella pace e nella giustizia su scala planetaria”: la lotta, in primo luogo attraverso le politiche pubbliche, contro ogni forma di discriminazione, sessismo, xenofobia e razzismo, insieme al riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni; l’adozione di misure urgenti contro la devastazione ambientale e la minaccia di mutamenti climatici, attraverso un modello di sviluppo alternativo fondato sulla sobrietà energetica e il controllo democratico delle risorse naturali; lo smantellamento delle basi militari di Paesi terzi e il ritiro di tutte le truppe straniere, salvo mandato espresso dell’ONU. 

IInfine, due proposte per “promuovere la democrazia dal locale al globale”: la difesa, garantita per legge, del diritto all’informazione e del diritto di informare; la riforma e democratizzazione delle organizzazioni internazionali, con l’incorporazione della Banca Mondiale, del FMI e dell’OMC nel sistema decisionale delle Nazioni Unite (la cui sede, in caso di persistenza di violazioni internazionali da parte degli USA, dovrebbe passare da New York a un Paese del Sud). 

Per quanto concerne l’annullamento dei debiti dei paesi del sud del mondo, bisogna dire che, questo è un problema che è Stato affrontato negli ultimi anni seriamente dai paesi che l’autore definisce del “ Nord del mondo”.

In Italia, come all’estero, sono state effettuate numerose manifestazioni, affinché i capi di Stato si impegnino per cancellare il debito del terzo mondo in modo da consentire a questi paesi una partecipazione attiva. 

In Italia, in modo particolare, forte e’ stata la mobilitazione e la campagna “Sdebitarsi”, per la cancellazione del debito, che ha conquistato nel luglio del 2000 uno straordinario strumento, la legge 209. 

Una legge unica nel suo genere a livello mondiale che disciplina la cancellazione dei crediti governativi bilaterali italiani26.

Allo stesso modo, Santos intuisce che sia opportuno intervenire per assicurare un equa distribuzione della ricchezza, infatti, egli crede anche nella necessità di controllare il capitale finanziario, introducendo tasse internazionali sulle transazioni finanziarie (in particolare la Tassa Tobin27 sulla speculazione sulle monete), sugli investimenti diretti all’estero, sui profitti consolidati della transnazionali, sulle vendite di armi e sulle attività a forte emissione di gas serra. 

Ritiene, pertanto, che sia necessario smantellare progressivamente tutte le forme di paradiso fiscale, giudiziario e bancario, che sono allo stesso tempo dei rifugi della criminalità organizzata, della corruzione, dei traffici di ogni genere, della frode e dell’evasione fiscale, delle operazioni criminali delle grandi imprese, o dei governi.

Un altro mondo possibile, infatti, deve incoraggiare il “vivere insieme” nella pace e nella giustizia. Occorre, lottare, in primo luogo nelle diverse politiche pubbliche, contro tutte le forme di discriminazione, di sessismo, di xenofobia, di razzismo e di antisemitismo. Riconoscere pienamente i diritti politici, culturali ed economici (compreso il controllo delle loro risorse naturali) dei popoli indigeni. 

È pertanto necessario riformare e democratizzare profondamente le organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, e far prevalere i diritti umani, economici, sociali e culturali contenuti nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

È necessario, inoltre che vi ci sia una comunione tra il principio di eguaglianza e il principio del rispetto delle diversità. L’uguaglianza, inteso in senso unilaterale e assoluto, finisce con l’escludere ciò che è diverso, creando delle forme di esclusione sociale.

Sulla base dei suddetti principi, movimenti sociali e Organizzazioni non governative lottano, a livello locale e globale, contro le forme di esclusione, discriminazione e particolarismo, determinate dalla globalizzazione neoliberale.

Questo concetto di trasformazione sociale è coerente con la struttura e lo stile dell’organizzazione. Ciò spiega sostanzialmente la novità organizzativa di un FSM senza leader, il suo rifiuto delle gerarchie e l’importanza dei network in Internet.

I PRESUPPOSTI PER LA REALIZZAZIONE DI UNA DEMOCRAZIA DI ALTA INTENSITÀ 

Il mercato globale usa il territorio dei vari paesi e delle diverse aree geografiche come uno spazio economico unico, in cui le risorse locali sono beni da trasformare in prodotti di mercato e di cui promuoverne il consumo, senza alcun’attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale dei processi di produzione. L’alternativa a questa globalizzazione, parte da un progetto politico che valorizza le risorse e le differenze locali promuovendo processi d’autonomia cosciente e responsabile di rifiuto del mercato unico. 

Lo sviluppo locale, così inteso, non può divenire localismo chiuso, difensivo, ma deve costruire reti alternative fondate sulla valorizzazione delle differenze e specificità locali, di cooperazione non gerarchica e non strumentale. In tal senso si può prospettare uno scenario definibile anche come “globalizzazione dal basso”28, solidale e non gerarchica. Questo progetto politico va costruendosi nell’attività di messa in rete d’energie locali operata dal Forum Sociale Mondiale.29 Per realizzare futuri sostenibili fondati sulla crescita delle società locali e sulla valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali propri a ciascun luogo, gli enti pubblici territoriali devono assumere funzioni dirette nel governo dell’economia. Per costruire in forme socialmente condivise queste nuove funzioni di governo, devono attivare nuove forme d’esercizio della democrazia. Infatti, solo il rafforzamento delle società locali e dei loro sistemi democratici di decisione consente, da un lato, di resistere agli effetti omologanti e di dominio della globalizzazione economica e politica, dall’altro, di aprirsi e promuovere reti non gerarchiche e solidali30. Si tratta di nuove forme d’autogoverno, in cui sia attiva e determinante la figura del produttore-abitante che si prende cura di un luogo attraverso la propria attività produttiva. Questa nuova dimensione “democratica” di una società locale complessa, multiculturale e autogovernata che cresce e si rafforza nel progettare e costruire direttamente il proprio futuro, può costituire il vero antidoto alla globalizzazione economica e al regno della paura, dell’insicurezza e dell’impotenza prodotti dalla militarizzazione delle reti di governo globale. 

Tanto per cominciare, la partecipazione del popolo alle questioni pubbliche deve essere considerata un elemento irrinunciabile in qualsivoglia regime che pretenda definirsi democratico, al pari di altri valori universalmente riconosciuti quali l’eguaglianza e la libertà31. Santos sostiene fermamente che questo nelle moderne democrazie non avviene, in quanto la partecipazione reale dei cittadini alla vita dello Stato è decisamente insufficiente e troppo focalizzata sul solo diritto di voto periodico. L’essere cittadino e quindi parte dell’elettorato attivo deve essere riconosciuta come condizione e non influenzata da altra connotazione che non sia quella stessa di esercitare la sovranità32.

Si pone, dunque, come imprescindibile l’obiettivo di realizzare una forma di democrazia liberale che consideri la partecipazione non come un elemento superfluo o destabilizzante ma come un valore da salvaguardare e favorire. 

La democrazia partecipativa è divenuta, ai nostri giorni, un modello auspicabile anche all’esperienza dei bilanci partecipativi a livello comunale in grado di coinvolgere attivamente i cittadini. 

Il bisogno di guardare in modo nuovo al decentramento, che dovrebbe rappresentare una delle condizioni della democratizzazione dello Stato, deve porsi prioritariamente come strumento di perfezionamento e crescita parallela delle istituzioni, della cittadinanza nel suo complesso ed in particolare delle organizzazioni della società civile. Questo progetto è imperniato su un’attenuazione delle relazioni di ruolo fra gli attori dei processi di governo cittadino non basate sui contrasti fra pubblico e privato, né sulla discrasia tra tecnici e politici o fra istituzioni e la società civile, quanto sull’enunciazione dei diritti doveri comuni all’uomo, quale cittadino, nei diversi ruoli che può assumere all’interno della città. Solo all’interno di un sistema di riforme centrato sull’individuo e sulla ricostruzione dei rapporti tra persone e collettività, può parlarsi di attuazione del meccanismo partecipativo. 

Esempio indicativo di partecipazione e dunque coinvolgimento del cittadino nella sfera pubblica e amministrativa è il percorso creato a Porto Alegre33, in cui la partecipazione è stata individuata dall’amministrazione non semplicemente come strumento di acquisizione di assenso bensì come mezzo di produzione del consenso. Si è dunque sviluppato un processo che ben risponde alle sfide della modernità e alla crisi di legittimità degli Stati contemporanei, incorporando la convinzione che i problemi dell’esclusione sociale e della concentrazione degli insediamenti umani nei centri urbani non possono essere trattati solamente attraverso politiche compensatorie ma richiedono l’attuazione di politiche pubbliche che modifichino la distribuzione della rendita e del potere nelle città e negli Stati, concretizzando forme di partecipazione diretta nelle gestioni pubbliche.

Il Bilancio partecipativo costituisce oggi una delle più interessanti pratiche di democratizzazione dell’ amministrazione urbana e territoriale in ambito internazionale. Per lo più se ne è avuta conoscenza in tutto il mondo attraverso l’esperienza ormai ultradecennale della città brasiliana di Porto Alegre, da anni guardata con interesse da punti di vista molto diversi: dai movimenti sociali alle reti internazionali di amministratori locali, dalla Banca Mondiale ai programmi sull’ habitat dell’ONU che la hanno consacrata come una delle esperienze eccellenti del panorama internazionale34

È noto, infatti, nel mondo il percorso che ha compiuto il progetto sudamericano che ha esteso la sua azione benefica anche ad altri ambiti della politica urbana, con modalità ed approcci ben diversi. In molti paesi Europei, tra cui anche l’Italia, il Bilancio partecipativo ha permesso un’apertura della macchina statale alla partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nell’assunzione di decisioni sugli obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici. 

Esso è divenuto un processo che, attraverso la collaborazione della cittadinanza attiva, offre una forte spinta al ristabilimento di un rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini ormai fortemente logorato35

Oggi, si contano una ventina di esperienze che si richiamano al Bilancio Partecipativo di Porto Alegre, tra loro molto diverse ma tutte più o meno centrate sull’idea di portare avanti un’auto educazione alla democrazia della cittadinanza, attraverso forme di co-decisione tra abitanti ed istituzioni relativamente ai nuovi investimenti per la rivalutazione del territorio. 

L’esperienza partecipativa di Porto Alegre ha posto con chiarezza il problema della costruzione di società in cui, una vasta rappresentanza di interessi sociali ed esperienze di autogoverno, possano dar vita ad un futuro autosostenibile e solidale.

Questo universo è, dunque, caratterizzato da componenti sociali ed economiche che sono accomunate non solo da una critica e da azioni conflittuali e di sabotaggio rispetto ai modelli dominanti di globalizzazione economica, ma anche da pratiche progettuali, da attività produttive, di vita e di consumo alternative rispetto a quelle di tipo globale36

Tali componenti sociali, politiche ed economiche fra loro molto differenti per collocazione sociale, culturale, geografica, producono, ognuna nel proprio ambito di interesse e di azione non soltanto una critica rispetto alla società globale, ma anche e contemporaneamente riappropriazione diretta di tecniche produttive, pratiche di vita e di consumo alternative e reti solidali inducendo, di conseguenza, crescita di società e identità locale. 

La sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo locale fondati sulla valorizzazione delle risorse sociali, ambientali, territoriali da parte della comunità locale è, infatti, la via maestra per la costruzione di forme di economia solidale e di società in cui i sistemi economici locali si autogovernano, seguendo un progetto di futuro diretto ad attivare relazioni di tipo unanime e non gerarchico dirette a costruire una cittadinanza che riconosce lo scambio tra i diversi stili di vita, produzione e consumo. 

CONCLUSIONI 

Il viaggio nel pensiero sausiano induce alla scoperta di mondi celati dal progresso tecnologico e dal liberismo economico. Si tratta di quelle realtà nascoste dietro la quotidianità, che ancora si trovano ad affrontare gli esclusi, ossia milioni di persone che ancora combattono per l’affermazione di quei diritti, che la cultura occidentale, ostenta come riconosciuti all’intera umanità. 

Affrontare seriamente il problema di una tale umanità nascosta e abbandonata significa dover riflettere sui dogmi che la modernità ha inculcato nelle menti di tutti noi. E’ per questo che si è resa urgente, in questo lavoro, l’analisi dei processi evolutivi del termine globalizzazione, attraverso lo studio di quanto, in essa, vi è dei concetti dell’economia liberista. Ho, così, creduto opportuno non soffermarmi unicamente su un’analisi asettica del pensiero di De Sousa Santos, ma di affrontare il concetto di diritti umani, a partire dalla connotazione datane dall’autore. Diritti umani: tale locuzione non può indurre in contraddizione quanti credono nell’assoluto significato del termine. Principi come uguaglianza, libertà, emancipazione e partecipazione sociale ne sono tratti caratteristici che ne dovrebbero denunciare l’universalità ossia l’estensione ed il riconoscimento all’intera umanità. 

Nell’analisi della prospettiva sausiana, spesso mi sono interrogata sulla reale efficacia dei diritti ovvero sulla loro concreta applicazione. Infatti, se penso alla Dichiarazione universale dei diritti umani, non posso omettere la grandiosità di siffatta opera della civiltà moderna, ma, allo stesso tempo ponendo lo sguardo su problematiche messe in luce dallo stesso Santos, non posso certo esimermi dal pensare alla vera realizzazione dei principi contenuti nella suddetta dichiarazione. Sicuramente nell’ambito dei diritti umani si è trattato forse del più ampio progetto di riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo, ma mi chiedo che senso possa avere tale dichiarazione se nel mondo contemporaneo, in cui impera il progresso e la rivoluzione tecnologica, esistono ancora soggetti che vivono in realtà lontane da qualsiasi logica ispirata al progresso. Certamente è principalmente nei confronti di questi uomini che la Dichiarazione è diretta, ma che rilevanza può avere se in alcuni paesi è negata l’essenza stessa della partecipazione all’emancipazione democratica? Mi chiedo che senso possa avere affermare unicamente sulla carta l’uguaglianza tra i cittadini se in molte regioni del mondo sono negati i diritti essenziali ad uomini che sono in lotta per la sopravvivenza, mentre nei paesi occidentali gli uomini sono in lotta quotidiana per l’accumulo di capitale. In questa prospettiva è sicuramente incoraggiante sapere che in paesi del Sud del mondo esistono forme di organizzazione, che resesi conto dell’assenza delle istituzioni e del silenzio di popoli che possiamo definire spettatori inermi, lottano per affrancare gli esclusi dalla povertà. È sicuramente rassicurante sapere che noi cittadini, benché viviamo in realtà lontane possiamo incoraggiare e sostenere la crescita e lo sviluppo sostenibile, in situazioni nelle quali grandi istituzioni mondiali non possono o hanno difficoltà ad intervenire. Mi riferisco in questo senso al Commercio Equo e Solidale. Si tratta di una forma di partecipazione sociale per risollevare le realtà economiche dei paesi meno fortunati, che, sebbene sia nata in tempi moderni, ha raggiunto dei risultati che vanno al di là delle migliori aspettative. Lo sviluppo di questo tipo di commercio nei paesi occidentali ha permesso a molte popolazioni di focalizzare la loro attenzione su realtà lontane, permettendo ai popoli produttori di risollevare la loro economia, non servendosi solamente degli aiuti economici forniti dai paesi sviluppati ma di diventare attori e protagonisti del loro riscatto a livello internazionale.

De Sousa Santos ha messo in luce la possibilità dei singoli cittadini di rendere possibile quanto finora è stato solo auspicato. Proprio questo è lo scopo del Social Forum, un incontro in cui il dialogo è conosciuto come il mezzo strategico per l’affermazione di diritti umani. Un dialogo che sicuramente non deve indurre in manifestazioni vandaliche poste in essere da fanatici di movimenti che, sebbene si schierano a difesa delle realtà meno sviluppate, creano enormi disagi alla popolazione locale. 

Il dialogo deve essere teso a forme di partecipazione sociale e deve essere lo strumento attraverso il quale poter focalizzare le realtà svantaggiate ed includerle nell’ambito della globalizzazione mondiale. Spesso si è parlato di globalizzazione. Il termine è sicuramente molto comune ai nostri giorni e frequentemente utilizzato da giornali e mezzi di comunicazione per indicare il percorso verso il quale si accinge a compiere l’era contemporanea. Il termine inizialmente è stato connotato in maniera negativa dallo stesso Santos il quale, tuttavia, non ha inteso affatto combattere l’evoluzione tecnologica. Egli tende, invece, ad esorcizzare la globalizzazione neoliberale, fattore di disuguaglianza ed esclusione sociale quale rimedio teso unicamente alla massimizzazione dei profitti, innescando in questo modo un meccanismo distruttivo e non affatto emancipatorio delle realtà che non riescono, per loro matrice culturale o per situazione economica, a stare al passo coi tempi. Si tratta di un pensiero che, sebbene talvolta possa indurre in fallo per il suo carattere rivoluzionario, non esclude dal progetto di emancipazione il progresso tecnologico. Si badi bene, però, la tecnologia così come la rete multimediale deve essere tesa non al servizio del capitalismo escludente ma deve servire ad aprire un passaggio per il riscatto di popoli meno fortunati ed essere un tramite di riconciliazione ed aiuto reciproco tra realtà del Nord del Mondo e popolazioni del Sud del Mondo, in modo da risollevarli dal baratro in cui quotidianamente si trovano a dover lottare.

Notas

1  Boaventura de Sousa Santos è dottore in Sociologia del diritto nella Celeberrima Università di Yale, nonché, cattedratico della facoltà di Economia dell’Università di Coimbra in Portogallo. 

2  Per Boaventura De Sousa Santos l’essenza dell’emancipazione sociale va rinvenuta nell’equivalenza tra il principio di eguaglianza ed il principio di riconoscimento delle differenze. Cfr. SANTOS, Boaventura De Sousa (2004). “Tra passato e futuro” . La rivista del Manifesto, nº. 47.

3 Per neoliberalismo, s’intende quella corrente di pensiero che enfatizza i meccanismi del mercato e dell’economia, come mezzi di progresso umano. I suoi più zelanti attuatori in politica sono stati il generale Pinochet, Margaret Tatcher e Ronald Reagan.

4  SANTOS, Boaventura De Sousa, (1996). “Ciencia, Sociedad y Derecho frente al debate modernidad-postmodernidad”. Fronésis. Instituto de Filosofía del Derecho “Dr. J.M. Delgado Ocando”, Universidad del Zulia, Maracaibo, Junio, p. 197.

5  SANTOS, Boaventura De Sousa (1997). “Toward a multicultural Concept of human rights?”, Sociologia del diritto, XXIV/1997/, p. 30.

6  In un comunicato stampa del 6 dicembre 2003, Medici Senza Frontiere (Msf) ha espresso la propria preoccupazione in merito alla decisione della Wto di rendere permanente l’emendamento all’accordo Trips, che stabilisce le regole per produrre e importare farmaci generici. MSF ha dichiarato che la Wto ignora la realtà quotidiana della produzione e dell’approvvigionamento dei farmaci, in http://tradewatch.it/osservatorio/articles/art_661.html.

7  SANTOS, Boaventura De Sousa (2004). “Diritti di proprietà intellettuale, biodiversità e salute umana”, Democrazia e diritto. Costituzionalismo, 2, p. 173.

8  L’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC), fondata nel 1995, regola il brevetto dei prodotti e dei processi di fabbricazione, per impedire il commercio di beni contraffatti. L’accordo del 1996 sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale - TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) – riguarda anche i farmaci: si vieta la produzione locale e si vincolano importazione, uso e vendita all’autorizzazione del titolare del brevetto. 

9  SANTOS, Boaventura De Sousa (1996). Op.cit., p. 203.

10  SANTOS, Boaventura De Sousa (1988). « Droit, une carte de la lecture déformée. Pour une conception postmoderne du droit », Droit et société, nº.10, p. 380.

11  SANTOS, Boaventura De Sousa (1998). La globalizzazione del diritto. Le nuove strade della regolazione e l’emancipazione. Università Nazionale della Colombia, Facoltà di Diritto, Scienze Politico e Sociale Istituto Latinoamericano di Servizi Legali Alternativi (ILSA), 288 pp.

12  SANTOS, Boaventura De Sousa (2004). “La fine del contratto sociale e l’ascesa al fascismo sociale”, Democrazia e diritto. Ancora di globalizzazione, nº. 1, p. 42.

13  Questa tesi è condivisa anche da molti autori contemporanei, lo stesso Bobbio, nega la fondamentazione assoluta dei diritti. BOBBIO, H. Età dei diritti, p. 17 e ss.

14  BONANATE, L (2004). “Globalizzazione e guerra”, Democrazia e diritto. Ancora di globalizzazione, op.cit., p. 104.

15  SANTOS, Boaventura De Sousa (2001). “Nuestra America. Reinventando un paradigma subalterno de reconocimiento y redistribución”, Chìapas, nº. 12.

16  SANTOS, Boaventura De Sousa (s/f). Reinventing Democracy. Oficina do CES, 136, Coimbra. 

17  SANTOS, Boaventura De Sousa (1996). Op. cit., p. 197.

18  SHETH, DL (2003). “Micromovimenti in India, verso una nuova politica di democrazia partecipativa”, in: Democratizzare la democrazia, I percorsi di una democrazia partecipativa, Troina, Città Aperta, p. 79. 

19  SANTOS, Boaventura De Sousa, “Produzir Para Viver. Os caminhos da produção não capitalista”, in http://www.ces.uc.pt/publicacoes/res/02/02.php.

20  MERCOSUR (Mercato comune del sud); SADC (Comunità economica per l’Africa Australe); ASEAN (Associazione delle nazioni del sud est asiatico). 

21  Un altro mondo è possibile è lo slogan di apertura del primo forum sociale mondiale che si è tenuto a Porto Alegre nel 2001, infatti Il World Social Forum è nato come contraltare al World Economic Forum, il raduno annuale dei rappresentanti del capitalismo globale a Davos, in Svizzera.

22  STIGLITZ, JE (2002). La globalizzazione e i suoi oppositori. Einaudi, p. 219 

23  SANTOS, Boaventura De Sousa (2003). Il forum sociale mondiale, verso una globalizzazione antiegemonica. Troina, Città Aperta, p. 42. 

24  Ibid., p. 13. 

25  Fra questi si includono: Aminata Traoré, Adolfo Pérez Esquivel, Eduardo Galeano, José Saramago, Francois Houtart, Boaventura De Sousa Santos, Armand Mattelart, Roberto Savio, Riccardo Petrella, Ignacio Ramonet, Bernard Cassen, Samir Amin, Atilio Boron, Samuel Ruiz Garcia, Tariq Ali, Frei Betto, Emir Sader, Walden Bello, Immanuel Wallerstein. In http://www.forumsocialmundial.org.

26  GAZZETTA UFFICIALE nº. 175 del 28-07-2000, LEGGE 25 luglio 2000, nº. 209, Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati. 

27  SANTOS, Boaventura De Sousa (2003). Op. cit., p. 79. 

28  Il sociologo portoghese parla di globalizzazione dal basso riferendosi al processo di emancipazione sociale messo in atto da miglia di organizzazioni non governative ed assemblee dei cittadini che in tutto il mondo si riuniscono per discutere sull’attuazione di politiche democratiche ed emancipatorie da attuare nei vari stati di appartenenza anche in coordinamento con le forze politiche che operano nel campo sociale. Cfr. SANTOS, Boaventura De Sousa (2003). “Tesi per il rafforzamento della democrazia partecipativa”, in: Democratizzare la democrazia. I percorsi per una democrazia partecipativa, p. 52. 

29  SANTOS, Boaventura De Sousa (2003). Op. cit., p.63, che sul punto sottolinea come la necessità di dar rilievo a ciò che i movimenti e le organizzazioni hanno in comune è prevalsa sulla necessità di sottolineare ciò che li separa. 

30  Al riguardo, Boaventura De Sousa SANTOS sostiene che “stiamo assistendo ad una depoliticizzazione dello Stato dovuta ad una forma nuova ed ampia di organizzazione politica formata da un complesso ibrido di flussi reti ed organizzazioni che si combinano ed intersecano elementi statali e non, nazionali e globali”, in: Democrazia e diritto, Costituzionalismo, 2/2004. 

31  La consapevolezza dell’importanza della partecipazione come forma di accrescimento dell’individuo è evidenziata anche nell’opera di Mill, laddove al riguardo sostiene che “Ancora più salutare è il vantaggio acquisito con la partecipazione,sia pur rara,del cittadino privato alle questioni pubbliche”…” Egli impara a sentire che fa parte di una collettività e che l’interesse pubblico è anche il suo”, in: MILL, JS (1946). Considerazioni sul governo rappresentativo, Milano, Bompiani. 

32  La preoccupazione teoretica per i “minori” che devono apparire nel quadro istituzionale e il problema delle distanze che intercorrono tra ceto politico ed il popolo, “reale o immaginario”, che da questi viene dichiarato sovrano, è evidenziata da Francesco MERCADANTE nel testo, “Eguaglianza e diritto di voto. Il popolo dei minori, Giuffrè, 2004, capitolo IV. 

33  Porto Alegre è una città del Sud del Brasile dello stato di Rio Grande do Sul. Essa conta circa 1.300.000 abitanti ed è divenuta famosa nel quadro internazionale come esempio lampante di attuazione della democrazia partecipativa attraverso il Forum Sociale Mondiale. 

34  L’esperienza di Bilancio partecipativo è particolare, come ha rilevato anche il documento-base del Programma europeo URB-AL Rete 9, curato dal direttore del Programma di Gestione Urbana dell’ONU per l’America Latina e i Carabi. Il Bilancio partecipativo è, infatti, collegato all’Assessorato alla Cultura e alla Comunicazione, volendo rappresentare simbolicamente una volontà di cambiamento culturale irreversibile nelle relazioni tra municipio e abitanti, perseguita attraverso un forte investimento politico e la capillarità e multiformità dei percorsi comunicativi. 

35  In merito, basti pensare che i sintomi della perdita di fiducia dei cittadini nei riguardi delle istituzioni sono chiaramente rinvenibili nella carente partecipazione degli italiani ai referendum popolari. 

36  Quest’esigenza è stata valorizzata anche dal segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, che nel promuovere il Global compact, un forum aperto alla partecipazione di imprese ed organizzazioni, ha affermato che esso mira a contribuire all’affermazione di “valori e principi condivisi che conferiscano al mercato globale un volto umano.” In www.unglobalcompact.org

Bibliografía

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2. SANTOS, Boaventura De Sousa, (1996). “Ciencia, Sociedad y Derecho frente al debate modernidad-postmodernidad”. Fronésis. Instituto de Filosofía del Derecho “Dr. J.M. Delgado Ocando”, Universidad del Zulia, Maracaibo, Junio, p. 197.        [ Links ]

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